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SHADOW'S
THEATERS
Il
titolo della mostra “SHADOW'S THEATERS” ci offre, almeno in
parte, una delle chiavi d’accesso alle opere di Daniele Bianchi
esposte. Unisce infatti due elementi non secondari dell’estetica
dell’autore, fra di essi strettamente collegati: i concetti di
apparenza e di rappresentazione. Per capirci qualcosa bisogna partire
da ciò che vediamo: composizioni racchiuse nello spazio frontale di
una sorta di tempietto votivo, che racchiude oggetti/elementi fra di
loro almeno apparentemente disparati e disomogenei, ma tutti
accomunati dal fatto di essere stati eliminati, abbandonati,
dimenticati, rifiutati o dall’uomo o dalla natura (rametti secchi,
sassi, legni, assi, chiodi, disegni, foto, oggettistica varia).
Sembrerebbe quasi un catalogo da discarica, il cui valore però è
dato dall’essere stato ricomposto dall’artista_compositore che
pone in nuova e diversa relazione la "spazzatura"
esistenziale e naturale, secondo progetti e codici tutti da scoprire.
Un rebus continuo, un gioco dell’intelligenza, una sfida
enigmistica. L’eterogeneità dei materiali, la loro caotica
casualità, gli accostamenti quantomeno inconsueti, fanno assumere
anzi devono per forza assumere un significato nuovo, perché la
struttura architettonica ne impone una nuova ridefinizione. Gli
elementi dei teatri(ni) di Daniele Bianchi sembrano una sorta di
versione materica dei personaggi in cerca d’autore di pirandelliana
memoria. Ad essi (teatri e loro componenti) si dovrebbe applicare il
meccanismo freudiano di interpretazione dei sogni, come
rimescolamento, mascheramento di verità altrimenti indicibili e
inesprimibili. Quale sarebbe dunque questa realtà sgradevole che si
maschera e si fa oniricamente viva per essere riconosciuta dalla
coscienza individuale e collettiva? Piuttosto facile individuarla,
perché è il leitmotiv dei teatrini: l'ordine
irreale e
l’assenza di significati manifesti ed univoci della vita e del
mondo, questo è ciò che l’autore sembra esorcizzare con le
proprie costruzioni. E anche qui Daniele Bianchi sembra citare o
comunque ci richiama alla mente quel “mondo come volontà e
rappresentazione” di Schopenauer che fortemente influenzò
Nietzsche, lo stesso Freud e buona parte della psicoanalisi. In altri
termini: le opere (dall’aspetto innocuamente surreale) di Daniele
Bianchi sono a tutti effetti delle bombe intellettuali a orologeria,
che, per brillare, aspettano solo che intelligenze e coscienze,
libere da pregiudizi, le attivino. Si tratta comunque di esplosioni
incruente e benefiche, che solo la grande arte ci offre. E Daniele
Bianchi è davvero un grande.
Italo
Montiglio